Nell’ottobre del 1960 andò in onda sulla prima rete Rai la trasmissione Tribuna Elettorale. Il primo ospite fu Mario Scelba, all’epoca ministro dell’interno. Aprì il suo intervento ammettendo di sentirsi inadeguato per i canoni estetici della televisione dell’epoca.
Ci ha ricordato di questo episodio Marco Damilano, giornalista, saggista e conduttore televisivo, durante il suo intervento per il ciclo Morning Talks.
Tribuna Elettorale nasce come un programma di politica voluto dalla politica.
L’idea per il format venne da un’indicazione della Corte costituzionale volta a garantire l’imparzialità nella diffusione del pensiero. Tuttavia l’impatto di Tribuna Elettorale andò ben oltre, cambiando per sempre il modo di comunicare della politica italiana.
Damilano ci ha spiegato come all'epoca della Prima Repubblica la politica fosse prima di tutto rappresentanza: non c’era piega del tessuto sociale che non avesse la sua rappresentazione in Parlamento. I politici erano visti quindi come rappresentanti prima che individui. Ecco spiegato il disagio di Mario Scelba, che si sentì in dovere di chiedere al pubblico di accontentarsi del suo aspetto poco piacente.
Negli USA la situazione era già diversa. Sempre nel 1960 andò in onda sulla televisione statunitense il confronto tra i candidati alla presidenza Richard Nixon e John Fitzgerald Kennedy. I telespettatori preferirono di gran lunga Kennedy a Nixon, e questo semplicemente perché l’immagine e il modo di esprimersi di JFK erano le più adatte al mezzo televisivo. La politica si era fatta spettacolo. Una performance deludente costò a Nixon la presidenza.
Dagli anni Sessanta in poi, per avvicinarsi al proprio elettorato i partiti cominciarono ad andare in televisione, prendendo in prestito i codici espressivi di questo media. Fu così che anche la politica italiana diventò a poco a poco un prodotto, passando dalla rappresentanza alla rappresentazione.
Da allora, la comunicazione politica non ha mai smesso di sfruttare gli strumenti di quella commerciale, seguendo di pari passo le innovazioni tecnologiche che sono arrivate nei decenni. Un passaggio quasi naturale, se si pensa alle caratteristiche in comune tra partiti e aziende. Entrambi hanno infatti un pubblico di riferimento che ambiscono ad allargare il più possibile, con l’obiettivo di indurlo all’azione.
Da un lato il marketing fa leva sulla persuasione per invogliare all’acquisto, dall’altro la politica si serve del consenso per guadagnare voti.
In questo senso, racconta Damilano, dagli anni ’90 l’Italia è stata un laboratorio anche per il resto del mondo. L’entrata in scena di Silvio Berlusconi e dell’intero apparato mediatico che gestiva portarono la politica della rappresentazione al suo punto più estremo. La novità stava nel possedere il mezzo prima ancora che servisse per ottenere consenso.
Fino a quel momento i politici erano ospiti della televisione, Berlusconi era la televisione stessa.
Vent’anni dopo, Beppe Grillo fece la stessa cosa con il suo blog, che era nato per fare attivismo ma che ben presto diventò uno strumento di propaganda.
Con l’avvento dei social network si entra nell’era dell’autorappresentazione, che è ancora in corso. I due politici italiani che hanno intercettato meglio questa tendenza sono stati l’ex-Presidente del Consiglio Matteo Renzi e l'attuale ministro delle infrastrutture Matteo Salvini. Le dinamiche social che hanno fatto proprie ormai le conosciamo bene: selfie ovunque, vita privata documentata nei minimi dettagli, profilazione del pubblico e coinvolgimento diretto dell’audience attraverso ogni forma di contest online (curioso notare come le prime volte in tv dei due Matteo siano state entrambe in dei telequiz, di cui poi hanno ripreso le meccaniche nella loro comunicazione social).
La rappresentazione è una forma intermedia in cui la politica diventa spettacolo per comunicare meglio con il pubblico, l'autorappresentazione salta l'intermediario.
L’autorappresentazione ha però le sue controindicazioni. La politica recente ha rincorso i trend a tutti i costi, gettandosi su piattaforme che non ha avuto il tempo di capire, e forse anche per questo è stata lasciata indietro dalle aziende. Alcune di queste, infatti, sono state più lungimiranti, lavorando sulla reputazione di cui i politici ormai si curano poco e rivolgendosi più alle ambizioni che - come fanno i partiti - ai bisogni o alle paure del proprio pubblico. Lanciarsi a favore o contro il topic del giorno non può funzionare se il giorno dopo si parlerà di tutt’altro. La sfida di oggi è quindi quella di trovare un equilibrio tra identità e innovazione, evitando uno sterile appiattimento sul presente. Ma nessun partito sembra essere riuscito nell’intento, per ora.
Qui di seguito trovi qualche link utile ad approfondire gli argomenti dell’incontro:
Un libro di David Foster Wallace su come si muove la carovana mediatica negli USA in occasione delle primarie;
L’archivio degli spot elettorali in Italia dal referendum sul divorzio del 1974 ai video su Tik Tok di oggi;
Un film di Tom Hopper intitolato “Il discorso del re”, sull’importanza della performance comunicativa di un governante.
Prima di spegnere la webcam Marco Damilano ha lanciato una piccola sfida a tutti i partecipanti, per provare a mettere a fuoco le cose dette durante l’incontro
Provate a prendere uno spot commerciale o un altro prodotto di comunicazione di una azienda (per esempio la vostra) e provate a fare una analisi rispetto alle cose dette: come emerge la reputazione? quali sono le leve di persuasione? che caratteristiche ha il tone of voice?